Patagonia-Terra del Fuoco 2012
giovedì 27 settembre 2018
Ostia!
In Spagna la parola hostia, non è una bestemmia.
Y yo estaba furioso de la hostia, (dannatamente) furioso.
Una sobrecubierta de la hostia. (fantastica) Fue una alegría ver esa nota salir del fax.
¿Senti il suono, la forza, il colpo da dietro che fa impennare e detonare la rabbia o la gioia?
E’ una parola utile, straordinaria, una parola che accende la miccia.
domenica 2 settembre 2018
Vedi Cara
giovedì 23 agosto 2018
giovedì 16 agosto 2018
domenica 5 agosto 2018
Spontaneità
La spontaneità a differenza dell’ironia si può imparare, basta non pensare. Anche se adottare l'infischio su quello che sto per dire o per fare porterà come conseguenze quelle di farmi litigare con la ragazza, farmi perdere il posto di lavoro, la stima dell’unica persona che credeva in me, farmi sbattere dietro le sbarre di una cella, credo ne valga la pena. Non rimarrò solo e abbandonato da tutti, ho un gatto.
lunedì 30 luglio 2018
Le Foppe
La foppa, sono convinto voglia dire “buca piena d’acqua”.
Alle Foppe, luogo, ci si arrivava percorrendo tutta la Via Guarnerio fino in fondo e proseguendo sulla strada che portava a Roncello.
Negli anni ’70 l’ultima casa della via era il 46 o il 48, la mia il 44. Poi negli anni costruirono tutto il resto, la casa dei Fumagalli, quella di Pietro costruita con suo papà in quattro anni, nei giorni di sabato e domenica. Di fronte a casa mia c’era la grande villa del Sindaco. Lo conobbi sotto il punto di vista professionale quando mi convocò nel suo ufficio con altri tre amici, tre mamme degli amici e il papà di Alfio. Restituimmo la refurtiva, e promettemmo di non farlo mai più se non volevamo essere denunciati ai Carabinieri.
Il Sindaco ci congedò. Subito fuori dall’ufficio, Alfio le prese da suo padre.
Il calcio glielo diede perchè tutti avevamo un motivo per prendere i soldi, lui il suo aveva pensato fosse meglio non dirlo. Se ne stava lì zitto con la testa abbassata e gli occhi da cagnolino. Lo scappellotto secco che seguì glielo appiccicò su mandibola e collo perchè lui era quello che aveva preso più soldi di tutti. L’ultimo ceffone glielo diede dal nervoso.
Ma questa è un’altra storia, avvenne qualche anno dopo e non c’entra niente con Le Foppe.
Le Foppe
Sulla strada per Roncello c’era una fornace. Mattoni, laterizi, vasi da fiori.
Per farli occorreva l’argilla. In un terreno vicino c’era.
Inviarono ruspe e camion e iniziarono gli scavi e il trasporto della terra in fornace.
Quando l’argilla era sporca di terreno limoso o sabbioso le ruspa si fermava e procedeva in un’altra direzione. Abbandonarono presto il terreno lasciando una buca quadrata di una ventina di metri per lato e altre tre buche dai contorni irregolari.
Col tempo l’acqua piovana e le infiltrazioni le riempirono d’acqua, qualcuno ci mise dei pesci e la natura fece il resto. La vegetazione e le intemperie coprirono e levigarono le tracce dei cingoli, smussarono le squadrate palate delle ruspe, il verde si arrampicò sulle collinette brulle di terra da riporto. I mesi e gli anni trasformarono un campo di battaglia in un'oasi. Un’oasi di flora e fauna formatasi dalla dimenticanza. Tappa fissa di anatre migratrici, pescatori, cacciatori e bambini avventurosi. A quarant’anni di distanza non saprei che fine abbiano fatto “Le Foppe”. Con google maps non ne ho trovato traccia. Ditemi che ci sono ancora più belle che mai.
venerdì 6 luglio 2018
Morto che Parla
La Storia d’Amore, quella che capita una volta nella vita a pochi fortunati, quelli legati dal filo rosso. Paure, incomunicabilità e fuga, violazione di un sistema di forze sacrali.
giovedì 5 luglio 2018
Mal di Testa
giovedì 28 giugno 2018
L'ultimo Passaggio a Livello
Risparmiate l'ultimo passaggio a livello della città.
lunedì 25 giugno 2018
Inbar Lavi
Blackout cerebrale mentre mi trovo nel reparto ortofrutta di un supermercato, tra zucche e patate.
Non a causa del prezzo del Cavolo Nero o per avere letto l’etichetta degli insensati limoni biologici che arrivano dal Sudafrica. Così, senza un apparente motivo, il cervello non risponde, ha fatto click e si è spento. Che ci faccio qui, non so più di cosa ho bisogno, di cosa ho voglia, quanti soldi ho in tasca, perchè sono al mondo. Quale mondo? La realtà si è dissolta. Forse a causa delle luci al neon, del denso brusio dei consumatori, del che sono a stomaco vuoto? Non mi era mai successo. Forse è così che si annuncia un attacco di panico. Si perde il contatto, si spalanca l’abisso e ci si spaventa.
Con la testa imbottita come se mi avessero insufflato da un orecchio della schiuma espansa tipo quella per riparare i pneumatici forati, mi guardo dal di fuori come con gli occhi di un altro e risulta evidente il mio stato di difficoltà e di malessere. Per ora sono invisibile ma qualcuno potrebbe accorgersi di me.
Allora cerco di afferrare un pensiero, uno qualsiasi che rifaccia partire l’elica, uno qualunque da tirare come fosse la corda di un motore di una piccola imbarcazione che mi porti via a tutta velocità. Comprerò due zucchine.
Dopo due minuti per scollare l’apertura del sacchetto e un altro minuto di zuffa col guanto, rinuncio e li riporto rispettivamente ai loro posti mandando a quel paese le zucchine che neanche volevo.
La salvezza è oltre le casse. Con passo sicuro, con lo stesso cipiglio di uno che ha un altissima probabilità di precipitare in un tombino lasciato aperto, abbandono il reparto verdure, mi addentro con sbuffi di vapore nel freddo siberiano del reparto latticini e la vedo.
Il suo viso riflesso sul vetro dell’armadio frigo delle mozzarelle, non lascia dubbi, è Inbar.
Inbar Lavi. Un’attrice israeliana. Uguale.
Sento la linfa vitale riprendere a scorrermi nelle vene, vorrei dirle qualcosa, attaccare bottone ma mi manca il filo. Elaboro la strategia psittaciforme nascosto tra gli scaffali del pane e focacce. Trovata. Mi lascerò guidare dalla spontaneità, con un approccio wood, alla Woody Allen o alla Clint Eastwood. Mi dò un tono, vado. E’ sparita. Scandaglio ogni superficie, scansiono ogni meandro, frugo in una confezione di korn flakes. Non c’è più. Ma ecco che ormai rassegnato mi sorprende, apparendomi in attesa al banco del pesce.
“Ciao, scusa ma te lo devo proprio dire. Sei l’identica copia della protagonista di Imposters, una serie tv. Forse te l’hanno già detto? Ah no, strano. Sei identica. L’attrice è israeliana, risaputamente le donne più belle del mondo. Nella serie tv interpreteresti il ruolo di una donna che seduce uomini e donne, li fa innamorare perdutamente, li sposa, gli ruba tutto e poi scappa. Nelle ultime puntate si ritrova vittima dei suoi complici truffatori avidi e assassini. Non ha un buco al posto del cuore, neanche un blocco di granito ma neppure un saltamartino, difatti alla fine si innamora del “pollo” di turno che in realtà è un agente dell’FBI sulle sue tracce, un bel trappolone pelato e palestrato.”
“Potresti farmi un autografo tarocco? Se mi concedi anche un selfie poi fotomonto le due cose e posso farmi fortunato con gli amici.”
Mi ha concesso l’autografo, il selfie e in più il numero di telefono, al quale ha risposto un certo Luigi, di Cantù.
giovedì 7 giugno 2018
Tentata Vendita
Parcheggio l’auto in pieno sole di fronte al bar. Sono giorni che lo tengo d’occhio. Hanno cambiato gestione, stanno ristrutturando e non c’è niente di più facile che vendere pubblicità ad una nuova attività. Non mando mail, non telefono, non prendo appuntamenti, salto dentro all’arrembaggio quando meno se lo aspettano. Prima che aprano bocca ho già in mano penna e contratto e inizio a scrivere. Sono un tipo insicuro, ultimamente anche eclettico dicono, per questo esagero. Non è una buona idea parcheggiare l’auto di fronte al bar, potrebbero vederla.
Ha vent’anni, la carrozzeria è ammaccata, graffiata, gratuggiata, abrasa, scolorita, attaccata da uno stormo di picchi rossi. Non la lavo da quattro anni per paura che si sciolga. Verifico che radio, ventola e luci siano spente per permettere alla batteria di fornire tutta la potenza disponibile esclusivamente al motorino d’avviamento. Giro la chiave dell’accensione. Il suono di un gatto in fuga con una lattina legata alla coda, di un bambino che con un cucchiaio di legno pesta forte su di una latta e di un barbiere che affila il rasoio sulla cinghia di cuoio, mi confermano che il motore si è acceso. All'incedere di una stonata manfrina a manovella danzata da bielle e pistoni, riparcheggio in una via laterale dietro ad un cespuglio ricoprendo il tetto e il cofano con arbusti secchi. Avvio la preparazione psico-fisica per l’appuntamento a sorpresa. Con sette respiri violenti per l’ossigenazione del cervello, mi accorgo di esagerare quando a pugni chiusi, tossisco e sputo una foglia aspirata da terra che mi si era incollata in gola. Sostituisco gli occhiali da sole con quelli da vista e mi avvio a piedi alla meta controllando che la patta dei pantaloni sia chiusa. E’ il mio giorno fortunato, la porta del bar è semiaperta. Allungo il collo nel pertugio ed entro con la stessa discrezione di Diabolik nel furto di diamanti al museo. Li vedo, sono in tre a ridosso di un tavolino appoggiato a gambe all'aria su di un altro tavolino. Stanno cercando di infilare l'ultima vite che assicurerà la gambe al piano del tavolo. Mi avvicino e li osservo. La mia vista li spaventa in un muto urlo di terrore fotografandoli in posizioni innaturali. Il basettone biondo rockabilly molla la mascella fino ad appoggiare il mento al tavolino, il paccioccotto in tuta blu aggrappato al tavolino viene sopraffatto da un attacco di tosse asinina e il terzo nella stessa posizione di chi seduto sul water si accorge dello stronzo che gli è rimasto attaccato al culo solo quando alzandosi, si stacca e centra in pieno le mutande calate.
Saluto e senza presentarmi, chiedo del titolare.
Nessuno parla, nessuno si muove, nessuno respira. Non riescono ad inquadrarmi, non capiscono chi io sia, le mie narici si dilatano aspirando a pieni polmoni l’odore della loro paura. Non vesto consueto, vesto elegante ma scombinato. Scelgo i miei capi con l’attenzione di un uomo nudo inseguito da un killer che correndo attraverso le bancarelle del mercato, arraffa capi d’abbigliamento a vanvera tanto per coprirsi e far cessare le urla stridule delle vecchiette appena uscite dalla messa.
Necessitando di una borsa che raccolga listini e contratti, mi è parsa una buona idea avvalermi di una di quelle borse da bici che si attaccano al manubrio della bicicletta.
Guardano me e la borsa, la borsa e me e percepisco il loro disorientamento per la borsetta da ciclista che porto a tracolla che non riescono a decifrare. Chi sarò? Le traiettorie degli sguardi corrono veloci come su un circuito Polistil, la palpebra di un occhio sbarrato vibra, una goccia della fronte esplodendo fa, plic. Mi godo il quadretto in silenzio, l’attimo di celebrità, dell’abuso di potere, immaginandomi ufficiale della finanza, dell'inps, dell'inail, dell'asl del ciuli fruli o giuli.
Quando mi presento come il più grande venditore terracqueo mondiale di pubblicità, la tensione evapora e tutti insieme tiriamo un bel respiro di sollievo, Mai ricevuta tanta accoglienza nel vendere pubblicità. Feci un bel contratto quel giorno, firmarono tutto.
Il giorno dopo, sul giornale lessi del loro arresto.
Nascondevano il vecchio titolare del bar nel congelatore.