lunedì 25 giugno 2018

Inbar Lavi




Blackout cerebrale mentre mi trovo nel reparto ortofrutta di un supermercato, tra zucche e patate.

Non a causa del prezzo del Cavolo Nero o per avere letto l’etichetta degli insensati limoni biologici che arrivano dal Sudafrica. Così, senza un apparente motivo, il cervello non risponde, ha fatto click e si è spento. Che ci faccio qui, non so più di cosa ho bisogno, di cosa ho voglia, quanti soldi ho in tasca, perchè sono al mondo. Quale mondo? La realtà si è dissolta. Forse a causa delle luci al neon, del denso brusio dei consumatori, del che sono a stomaco vuoto? Non mi era mai successo. Forse è così che si annuncia un attacco di panico. Si perde il contatto, si spalanca l’abisso e ci si spaventa.

Con la testa imbottita come se mi avessero insufflato da un orecchio della schiuma espansa tipo quella per riparare i pneumatici forati, mi guardo dal di fuori come con gli occhi di un altro e risulta evidente il mio stato di difficoltà e di malessere. Per ora sono invisibile ma qualcuno potrebbe accorgersi di me.

Allora cerco di afferrare un pensiero, uno qualsiasi che rifaccia partire l’elica, uno qualunque da tirare come fosse la corda di un motore di una piccola imbarcazione che mi porti via a tutta velocità. Comprerò due zucchine.

Dopo due minuti per scollare l’apertura del sacchetto e un altro minuto di zuffa col guanto, rinuncio e li riporto rispettivamente ai loro posti mandando a quel paese le zucchine che neanche volevo.

La salvezza è oltre le casse. Con passo sicuro, con lo stesso cipiglio di uno che ha un altissima probabilità di precipitare in un tombino lasciato aperto, abbandono il reparto verdure, mi addentro con sbuffi di vapore nel freddo siberiano del reparto latticini e la vedo.

Il suo viso riflesso sul vetro dell’armadio frigo delle mozzarelle, non lascia dubbi, è Inbar.

Inbar Lavi. Un’attrice israeliana. Uguale.

Sento la linfa vitale riprendere a scorrermi nelle vene, vorrei dirle qualcosa, attaccare bottone ma mi manca il filo. Elaboro la strategia psittaciforme nascosto tra gli scaffali del pane e focacce. Trovata. Mi lascerò guidare dalla spontaneità, con un approccio wood, alla Woody Allen o alla Clint Eastwood. Mi dò un tono, vado. E’ sparita. Scandaglio ogni superficie, scansiono ogni meandro, frugo in una confezione di korn flakes. Non c’è più. Ma ecco che ormai rassegnato mi sorprende, apparendomi in attesa al banco del pesce.

“Ciao, scusa ma te lo devo proprio dire. Sei l’identica copia della protagonista di Imposters, una serie tv. Forse te l’hanno già detto? Ah no, strano. Sei identica. L’attrice è israeliana, risaputamente le donne più belle del mondo. Nella serie tv interpreteresti il ruolo di una donna che seduce uomini e donne, li fa innamorare perdutamente, li sposa, gli ruba tutto e poi scappa. Nelle ultime puntate si ritrova vittima dei suoi complici truffatori avidi e assassini. Non ha un buco al posto del cuore, neanche un blocco di granito ma neppure un saltamartino, difatti alla fine si innamora del “pollo” di turno che in realtà è un agente dell’FBI sulle sue tracce, un bel trappolone pelato e palestrato.”

“Potresti farmi un autografo tarocco? Se mi concedi anche un selfie poi fotomonto le due cose e posso farmi fortunato con gli amici.”

Mi ha concesso l’autografo, il selfie e in più il numero di telefono, al quale ha risposto un certo Luigi, di Cantù.

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