mario bellocchio rossi
Patagonia-Terra del Fuoco 2012
domenica 5 giugno 2022
lunedì 27 settembre 2021
Pericolo Giallo
Torna indietro ti prego.
Non farlo. Non adesso.
Sul ciglio della strada col collo tirato verso l’alto, attenta a valutare il momento giusto per attraversare, l’anatra non riceve i miei messaggi telepatici che rimbalzano di rimando sul cristallo del parabrezza.
Rallento fluido i miei sessantacinque all’ora a zero. Sono fermo, sulla carreggiata con le quattro frecce, davanti all’anatra che sicura e tranquilla decide di attraversare ora. Al di là della strada c’è il canale e oggi la lezione di nuoto. L’erba a bordo strada sputa un piccolo anatroccolo dopo l’altro che in fila indiana si accodano alla mamma. Giunge in lontananza una fila d’auto. Lampeggio, suono, agito la mano dal finestrino. Il primo della fila non accenna a rallentare. I sensori di serie che individuano ostacoli sulla carreggiata non sono ancora così diffusi. Comincio ad agitarmi. Esiste una prassi, una sorta di comportamento standard, una direttiva da adottare per segnalare un pericolo, un attraversamento imprevisto, alle auto che sopraggiungono?
A parte il lancio del triangolo catarifrangente a mo’ di boomerang non mi viene in mente altro.
La mamma anatra sculetta sull’asfalto, si sente sicura, intoccabile come un immortale adolescente, come un highlander del clan MacLeod. Gli obbedienti, diligenti piccoli la seguono in fila indiana, si fidano, è la loro mamma. Se l’auto non rallenterà e l’anatra non si affretterà, abbandonando lo status di: “a passeggio col gelato dopo cena”, verranno investiti e stritolati. Mi immagino la scena nei minimi particolari, l’orrore, la tristezza e la rabbia generata dall’impotenza e dall’ingiustizia giustificherebbe l'imbracciare una mitragliatrice M60 su bersaglio di pneumatici. A pochi metri dall’impatto, l’auto che sopraggiunge inchioda, le gomme stridono, il ghiaietto scricchiola, la fila di anatroccoli si rompe, si ricompatta, accelera il passo e attraversano tutti.
Domani scaricherò dal bagagliaio l’attrezzatura per il guerrilla gardening è lo riempirò di tubi e cartelli per il guerrilla road-sign.
lunedì 1 febbraio 2021
Provvisorio
In famiglia la cassetta degli attrezzi era custodita da mamma. Ci si rivolgeva a lei quando occorreva un cacciavite, la tenaglia, un chiodo. Se serviva una brugola bisognava specificarne il numero e se non andava bene, solo alla restituzione dell’arnese troppo piccolo veniva consegnato quello di una misura in più. Papà non amava le domande, soprattutto quando era divorato dal fuoco creativo dell’opera, così preferiva comprare l’occorrente di volta in volta dal ferramenta.
Il giorno che costruì il recinto per le galline, per proteggerle da una fantomatica faina, tornò con la rete metallica, paletti di ferro, badile, mazzetta, pinza, filo di ferro, chiodi.
Noi tre bambini, presentammo pronta richiesta di partecipazione alla costruzione ma, il mio entusiasmo salterino a mani giunte, i gesti di sfida e le minacce di Paolino e l’intraprendenza del piccolo Sandrino che girovagava già a ritroso, trascinando a due mani per il cantiere il martello, non servirono ad avallare la domanda. Lo avremmo rallentato, gli avremmo confuso le idee, probabilmente ci saremmo fatti male e per finire: “…la gente cosa avrebbe detto”.
Seduti sul muretto a guardare; il recinto non era perfetto, qualche palo non era in bolla, in qualche punto la rete non chiudeva bene, per chiudere e aprire il cancellino si doveva far pressione verso l’alto alzandolo.
Dopo l’ultimo chiodo piantato, papà si tirava dritto e con un bel respiro profondo esclamava “Oooh va che bel!” Poi si rivolgeva ai nostri sguardi dubbiosi con: “eeeh?”, “va minga ben?”, “…pruvisòri”.
Tutta la sua vita fu provvisoria. Provvisoria la casa, l’arredamento, l’auto, la sistemazione in hotel delle vacanze estive.
Papà era l’uomo del provvisorio. L’uomo che si attivava solo in stato di urgenza ed emergenza mettendo pezze con ciò che aveva, come chi per non affogare nel mondo tappa il buco della barca, su cui siamo tutti, con un salame.
Ti voglio bene pà.
mercoledì 20 gennaio 2021
Appuntamento al Buio
Io non sono lui e lei non sei tu.
Un proverbio Sufi afferma che colui che beve un poco di qahwa non andrà all’inferno, così ne ordino uno doppio. Il soffio sulla cioccolata calda di lei è brezza tiepida sul mio viso, è il nostro secondo contatto fisico, il primo è stato appoggiargli le mani ai fianchi e baciarla sulle guanciotte sotto la luce gialla di un lampione al parcheggio della stazione. "Scotta" dice, pestando rovinosamente la tazza sul piattino per poi subito accomodarla con la grazia del mignolo in su. Non c'è fretta baby doll, non abbiamo un progetto, non ci conosciamo, siamo qui solo per testare se scatta la molla. Adoro ficcarmi in queste situazioni estranee, senza un motivo, senza un obbiettivo, senza alcun senso, come venire catapultato in un fotogramma di chissà quale film in bianco e nero nel quale non mi oriento. Barcollo, la mente tende a perdere l'equilibrio. Ci sono attimi nei quali mi sfugge la percezione, come se si abbassasse lentamente il volume della colonna sonora a zero e sentissi l'anima evaporare dai pori, ballarmi innanzi e guardarmi interrogativa, e poi, mi sento mancare. Per sfuggire al collasso faccio cadere qualcosa, le chiavi, il suo collo del piede mi distrae. È peloso.
Torno in postazione con gli avambracci appoggiati al tavolino, parte con la favella, la osservo, fingo interesse, annuisco spalancando gli occhi quando si aspetta un sì, sorrido battendo le ciglia quando ride e nel dubbio sorseggio il mio caffè. Dicono che l’atteggiamento che si ha col cibo e con il sesso siano correlati. Velocità nel consumare, assaporare, sezionare, scartare, giocare, ripulire il piatto o avanzare qualcosa. Bere una cioccolata non rivela un granchè. Le labbra di lei si avvicinano al bordo e si allontanano soffiando. Sono chiare, sottili. Corre voce che labbra e capezzoli abbiano consistenza, rugosità e colore affini. Dovrebbe avere i capezzoli chiari. Interessante se fossero scuri come la cioccolata, larghi quanto la tazza e grinzosi come la pellicola che si forma in superficie, in marcato contrasto con gli occhi chiari e le lentiggini. Il collo del piede promette che il "the ring of fire" si trovi nel bel mezzo di una foresta selvaggia con tane di leoni e nidi di leopardi. Il respiro si accorcia, il collo pulsa. Mi piace già. Finite le consumazioni, gli argomenti e le fantasie ci guardiamo in silenzio. Non è andata male. Ti accompagno a casa? ...
Parcheggio l’auto sotto casa di lei. Non è risoluta, stiamo li fermi col brontolio del motore che si arrampica rimbalzando da un muro all’altro del vicolo. Scommetto che abbiamo lo stesso pensiero: sono io, ora, la persona che vuole? Se mi sceglierà, succederà. Aspettiamo, fermi come due foglie secche su un albero resinoso e senza vento. Il mio sangue è più ghiaccio di quello di un serpente e lei per certo non ribolle in pentola. Mi invento di fare partire Zingara della Zanicchi che dopo 30 secondi la adagia sul trappolone della tela del ragno, non fa resistenza, si abbandona e mi bacia. Il tempo rallenta, ogni attimo un pensiero. Porca miseria, non è possibile, ma chi è? Chi sono? Il bacio è lento... ma lungo... che buon sapore... perchè proprio me?.. non ci conosciamo neppure... forse ogni sera... bacia un uomo diverso... e alla sua collezione mancava Calimero... ora ci vorrebbe... "Una Musica Può Fare" di Max... e un telecomando neurale per l'ipod... Trattiene un gemito che mi stende, si allontana... "sali?" Sistemo l'auto dove ci sta, scendo, le apro la portiera, la aiuto a scendere sfiorandole la mano, chiudo. Mai successo la prima sera e di incontri al buio pesto ne ho avuti. Almeno due, contando questo. Mi scorta fin davanti alla porta di un piccolo condominio anni 60 ristrutturato. Al primo gradino toglie una scarpa, al secondo sfila l'altra e la fa girare con un dito. Sono intontito. “Ho tolto le scarpe per fare all'amore”, sto per rischiare lo stramazzo, ma no, ho capito male, "Ho tolto le scarpe per non fare rumore" ha detto, appoggiandomi l’indice alla punta del naso...
Gira lentamente la chiave nella porta di casa ritraendo a scatto il collo nelle spalle in sincronia col tac della serratura. Fa strada, mi affaccio alla soglia. Sotto un affastello di libri e riviste, un computer portatile, scatole di medicinali, un computer, maglioni magliette e una gonna, bollette delle utenze, un vaso di caramelle, pinza e cacciaviti, l’”apparecchio” della cena e quello che un apecar con ribaltabile può avergli scaricato sopra, ci dev’essere il tavolo. Lo stendipanni coi bianchi, al centro della stanza e il disordine mi mettono a mio agio. Non è un invito preterintenzionale. Non è la saponatrice di Castelpistillo. Ci abbracciamo in piedi scambiandoci calorose ed espansive manifestazioni d’affetto. Il ballo zoppo che ci tiene in equilibrio a colpi di spigoli contro gomiti e ginocchia ci porta in camera e a sedere sul letto. Attraverso i capelli di lei intravedo il grosso armadio antico di famiglia. Lei non è la Cianciulli, bene, speriamo che nell’armadio non ci sia Barbablù. Deve andare in bagno, sento il bidet, io dovrei essere a posto. Quando torna è tutto da rifare. Effusioni, piff piff, puff puff e quando cerco di arrivare al punto, mi ferma, deve tornare in bagno, un attimo. Il rumore della caldaia del riscaldamento che si accende mi impedisce di capire cosa stia facendo, se lavandosi i capelli o un pediluvio. Tra le possibili varianti mi viene da pensare anche ad un problema di salute. Potrebbe essere una sintomatologia non contagiosa, potrebbe essere un'infiammazione della prostata e lei/lui un trans… Il collo del piede. Cerco la via di fuga, la chiave non è nella toppa e le finestre al secondo piano. Mi restano due possibilità, sotto il letto o nell’armadio con Barbalù. Massì dai respira, non formalizziamoci, mia mamma a tavola me lo diceva sempre “Come fai a dire che la zuppa di astracan non ti piace se non l’hai mai assaggiata?" Assaggiala e poi dici.” Niente dai, lei era donna, ci siamo divertiti, abbiamo giocato all’Ultimo Tango a Castelpistillo e non ci siamo risentiti ne visti mai più.