venerdì 6 luglio 2018

Morto che Parla




Ultimi istanti di una storia di "amore per sempre”.
La Storia d’Amore, quella che capita una volta nella vita a pochi fortunati, quelli legati dal filo rosso. Paure, incomunicabilità e fuga, violazione di un sistema di forze sacrali.
Un religioso peccato.



Nessun aiuto in vista.
Nessuna risposta agli sos gorgogliati tra una bevuta e l’altra.
Dopo aver nuotato e annaspato e bevuto a lungo per giorni, l’unica salvezza era mettersi a fare il morto.
Mi abbandonai.
Sostenuto dai flutti lanciai un crowdfunding rivolto ad ogni cellula per la raccolta di nuove energie.
Quando naufrago ho bisogno solo di tempo, solo un po’.
Forse è un problema di pulizia neuronale.
Gli spazzini stanchi si addormentano e i neuroni da buttare intralciano le strade di comunicazione tra quelli in esercizio che non si capiscono più. Uno spinge e l’altro tira, uno dice Torino e l’altro capisce tombino, non collaborano. Alla fine si esauriscono e si spengono andando a fare compagnia ai netturbini.
Lei proprio non mi sopportava da morto, neanche da vivo, ma da morto di più.
Alla vista del me morto i suoi occhi schizzavano a sinistra forza nove come biglie metalliche attratte da una potente calamita appoggiata alla tempia, e iniziava il bombardamento con risposte preconfezionate, sempre le stesse, il cui sunto era: non ti piaccio più, non stai bene con me, non mi ami, mi hai fatto solo perdere del tempo, ecc. ecc.
A quel punto avrei dovuto sostenere un’arringa, sfoderare l’impegno oratorio, l’insinuante persuasione, muovere affetti e sentimenti.
Impegnandomi al massimo, tutto quello che riuscivo a proferire era un: “non lo so”.
48, morto che parla.
A quel punto si alzava, raccoglieva le proprie cose stipandole nella borsa e abbandonava la camera ardente.
Mi dispiace che ora lei non sia qui.
Vorrei dirle che mi sento morto dentro quando non mi piace il mio corpo, quando mi sento vecchio e stanco, quando non ho avuto tempo per me stesso, quando non ho avuto la possibilità di vederla o di dirle una cosa proprio in quel momento, quando non riesco bene nel lavoro, quando non mi sento all’altezza, quando non mi sento in diritto di desiderare, di ricevere piacere.
Ormai non c’è più, peccato, ora l’ho imparato.





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