lunedì 30 luglio 2018

Le Foppe



La foppa, sono convinto voglia dire “buca piena d’acqua”.
Alle Foppe, luogo, ci si arrivava percorrendo tutta la Via Guarnerio fino in fondo e proseguendo sulla strada che portava a Roncello.
Negli anni ’70 l’ultima casa della via era il 46 o il 48, la mia il 44. Poi negli anni costruirono tutto il resto, la casa dei Fumagalli, quella di Pietro costruita con suo papà in quattro anni, nei giorni di sabato e domenica. Di fronte a casa mia c’era la grande villa del Sindaco. Lo conobbi sotto il punto di vista professionale quando mi convocò nel suo ufficio con altri tre amici, tre mamme degli amici e il papà di Alfio. Restituimmo la refurtiva, e promettemmo di non farlo mai più se non volevamo essere denunciati ai Carabinieri.
Il Sindaco ci congedò. Subito fuori dall’ufficio, Alfio le prese da suo padre.
Il calcio glielo diede perchè tutti avevamo un motivo per prendere i soldi, lui il suo aveva pensato fosse meglio non dirlo. Se ne stava lì zitto con la testa abbassata e gli occhi da cagnolino. Lo scappellotto secco che seguì glielo appiccicò su mandibola e collo perchè lui era quello che aveva preso più soldi di tutti. L’ultimo ceffone glielo diede dal nervoso.
Ma questa è un’altra storia, avvenne qualche anno dopo e non c’entra niente con Le Foppe.


Le Foppe
Sulla strada per Roncello c’era una fornace. Mattoni, laterizi, vasi da fiori.
Per farli occorreva l’argilla. In un terreno vicino c’era. 
Inviarono ruspe e camion e iniziarono gli scavi e il trasporto della terra in fornace.
Quando l’argilla era sporca di terreno limoso o sabbioso le ruspa si fermava e procedeva in un’altra direzione. Abbandonarono presto il terreno lasciando una buca quadrata di una ventina di metri per lato e altre tre buche dai contorni irregolari. 
Col tempo l’acqua piovana e le infiltrazioni le riempirono d’acqua, qualcuno ci mise dei pesci e la natura fece il resto. La vegetazione e le intemperie coprirono e levigarono le tracce dei cingoli, smussarono le squadrate palate delle ruspe, il verde si arrampicò sulle collinette brulle di terra da riporto. I mesi e gli anni trasformarono un campo di battaglia in un'oasi. Un’oasi di flora e fauna formatasi dalla dimenticanza. Tappa fissa di anatre migratrici, pescatori, cacciatori e bambini avventurosi. A quarant’anni di distanza non saprei che fine abbiano fatto “Le Foppe”. Con google maps non ne ho trovato traccia. Ditemi che ci sono ancora più belle che mai.

venerdì 6 luglio 2018

Morto che Parla




Ultimi istanti di una storia di "amore per sempre”.
La Storia d’Amore, quella che capita una volta nella vita a pochi fortunati, quelli legati dal filo rosso. Paure, incomunicabilità e fuga, violazione di un sistema di forze sacrali.
Un religioso peccato.



Nessun aiuto in vista.
Nessuna risposta agli sos gorgogliati tra una bevuta e l’altra.
Dopo aver nuotato e annaspato e bevuto a lungo per giorni, l’unica salvezza era mettersi a fare il morto.
Mi abbandonai.
Sostenuto dai flutti lanciai un crowdfunding rivolto ad ogni cellula per la raccolta di nuove energie.
Quando naufrago ho bisogno solo di tempo, solo un po’.
Forse è un problema di pulizia neuronale.
Gli spazzini stanchi si addormentano e i neuroni da buttare intralciano le strade di comunicazione tra quelli in esercizio che non si capiscono più. Uno spinge e l’altro tira, uno dice Torino e l’altro capisce tombino, non collaborano. Alla fine si esauriscono e si spengono andando a fare compagnia ai netturbini.
Lei proprio non mi sopportava da morto, neanche da vivo, ma da morto di più.
Alla vista del me morto i suoi occhi schizzavano a sinistra forza nove come biglie metalliche attratte da una potente calamita appoggiata alla tempia, e iniziava il bombardamento con risposte preconfezionate, sempre le stesse, il cui sunto era: non ti piaccio più, non stai bene con me, non mi ami, mi hai fatto solo perdere del tempo, ecc. ecc.
A quel punto avrei dovuto sostenere un’arringa, sfoderare l’impegno oratorio, l’insinuante persuasione, muovere affetti e sentimenti.
Impegnandomi al massimo, tutto quello che riuscivo a proferire era un: “non lo so”.
48, morto che parla.
A quel punto si alzava, raccoglieva le proprie cose stipandole nella borsa e abbandonava la camera ardente.
Mi dispiace che ora lei non sia qui.
Vorrei dirle che mi sento morto dentro quando non mi piace il mio corpo, quando mi sento vecchio e stanco, quando non ho avuto tempo per me stesso, quando non ho avuto la possibilità di vederla o di dirle una cosa proprio in quel momento, quando non riesco bene nel lavoro, quando non mi sento all’altezza, quando non mi sento in diritto di desiderare, di ricevere piacere.
Ormai non c’è più, peccato, ora l’ho imparato.





giovedì 5 luglio 2018

Mal di Testa




E’ stata una vera fortuna conoscere le donne della mia vita e amarle. Mi hanno riempito di attenzioni, comprensione, affetto, amore, regali, link a siti web, stimoli musicali, culturali, qualcuna di loro mi ha dato figli stupendi.
Poi le storie finiscono ma l’amore, se c’era, resta per sempre.
Quando l’illusione di un amore si infrange oltre lo specchio non lascia nulla, toglie qualcosa.
A me è successo che la fine di un illusione mi abbia tolto il mal di testa.
Non ebbi più bisogno di prendere la pastiglia quotidiana di Voltadvance, un voltaren avanzato solo nel nome, perchè in realtà non avanzava mai nessuna pastiglia. Via una scatola un’altra come fossero pacchetti di sigarette. Una o più pastiglie tutti i giorni.
L’arrivo della cefalea era dato dall’irrigidimento delle spalle che si ramificava avvinghiandosi al collo fino a farlo diventare legno. Le vene infeltrite sembravano trattenere lungo il percorso l’ossigeno che faticava a irrorare il cervello. Da lì al mal di testa il tempo era quello di un attimo. La pastiglia andava presa per il collo, Il mal di testa non avrebbe brillato, il voltadvance l’avrebbe avviluppato in una bolla col preferibile effetto di ottundere metà cervello. C’era, non faceva male ma neanche bene. Non prendere la pastiglia voleva dire, passare sei ore a letto immobile, senza neanche la forza di rispondere al telefono, come una salma a cui squilla il cellulare dimenticato nel taschino. Ai medicinali l’organismo si abitua e il loro effetto con l’abitudine, sciama. Quindi in alternanza, acido acetilsalicilico, paracetamolo, ibuprofene, ketoprofene, flurbiprofene, naprossene, diclofenac. Tutti i giorni, per mesi. C’è qualcosa che non va, mi sono chiesto. Ho escluso il tumore al cervello perchè sembra non dia sintomi. La vecchia caduta in bici con costole e anelli della colonna vertebrale incrinati, possibile. Onde magnetiche di ripetitori per cellulari sparate nell’aere, wi-fi, bluethoot, detersivi, acari della polvere, il lavoro, lo stress, il mammasantissima. Ho vagliato ogni possibilità, sperimentando per esclusione.
Ora i miei mal di testa sono solo un lontano ricordo. Mi è bastato tornare single.