giovedì 28 giugno 2018

L'ultimo Passaggio a Livello


Risparmiate l'ultimo passaggio a livello della città.
Quando il passaggio a livello è abbassato smonto da sella, in canna appoggio gli avambracci al manubrio e osservo. C'è gente. Raro trovare chi si lamenta, ci si rassegna e ci si gode la pausa. Qualcuno si conosce e chiacchiera, qualcun’altro non si conosce e chiacchiera. Vedo il gatto che abita ai binari e come la natura giorno dopo giorno si mangia la casa della ferrovia. Guardo le bici e gioco a ridistribuirle tra i ciclisti più o meno razionalmente. Guardo dove sta andando il cielo e chi lo abita. Comprendo che sulle autoimmobili ibernate non c'è un party.
Il nipotino è il primo a vedere il treno che passa nel racconto del nonno.
Poi il treno passa, tutto passa, ma io c'ero.

lunedì 25 giugno 2018

Inbar Lavi




Blackout cerebrale mentre mi trovo nel reparto ortofrutta di un supermercato, tra zucche e patate.

Non a causa del prezzo del Cavolo Nero o per avere letto l’etichetta degli insensati limoni biologici che arrivano dal Sudafrica. Così, senza un apparente motivo, il cervello non risponde, ha fatto click e si è spento. Che ci faccio qui, non so più di cosa ho bisogno, di cosa ho voglia, quanti soldi ho in tasca, perchè sono al mondo. Quale mondo? La realtà si è dissolta. Forse a causa delle luci al neon, del denso brusio dei consumatori, del che sono a stomaco vuoto? Non mi era mai successo. Forse è così che si annuncia un attacco di panico. Si perde il contatto, si spalanca l’abisso e ci si spaventa.

Con la testa imbottita come se mi avessero insufflato da un orecchio della schiuma espansa tipo quella per riparare i pneumatici forati, mi guardo dal di fuori come con gli occhi di un altro e risulta evidente il mio stato di difficoltà e di malessere. Per ora sono invisibile ma qualcuno potrebbe accorgersi di me.

Allora cerco di afferrare un pensiero, uno qualsiasi che rifaccia partire l’elica, uno qualunque da tirare come fosse la corda di un motore di una piccola imbarcazione che mi porti via a tutta velocità. Comprerò due zucchine.

Dopo due minuti per scollare l’apertura del sacchetto e un altro minuto di zuffa col guanto, rinuncio e li riporto rispettivamente ai loro posti mandando a quel paese le zucchine che neanche volevo.

La salvezza è oltre le casse. Con passo sicuro, con lo stesso cipiglio di uno che ha un altissima probabilità di precipitare in un tombino lasciato aperto, abbandono il reparto verdure, mi addentro con sbuffi di vapore nel freddo siberiano del reparto latticini e la vedo.

Il suo viso riflesso sul vetro dell’armadio frigo delle mozzarelle, non lascia dubbi, è Inbar.

Inbar Lavi. Un’attrice israeliana. Uguale.

Sento la linfa vitale riprendere a scorrermi nelle vene, vorrei dirle qualcosa, attaccare bottone ma mi manca il filo. Elaboro la strategia psittaciforme nascosto tra gli scaffali del pane e focacce. Trovata. Mi lascerò guidare dalla spontaneità, con un approccio wood, alla Woody Allen o alla Clint Eastwood. Mi dò un tono, vado. E’ sparita. Scandaglio ogni superficie, scansiono ogni meandro, frugo in una confezione di korn flakes. Non c’è più. Ma ecco che ormai rassegnato mi sorprende, apparendomi in attesa al banco del pesce.

“Ciao, scusa ma te lo devo proprio dire. Sei l’identica copia della protagonista di Imposters, una serie tv. Forse te l’hanno già detto? Ah no, strano. Sei identica. L’attrice è israeliana, risaputamente le donne più belle del mondo. Nella serie tv interpreteresti il ruolo di una donna che seduce uomini e donne, li fa innamorare perdutamente, li sposa, gli ruba tutto e poi scappa. Nelle ultime puntate si ritrova vittima dei suoi complici truffatori avidi e assassini. Non ha un buco al posto del cuore, neanche un blocco di granito ma neppure un saltamartino, difatti alla fine si innamora del “pollo” di turno che in realtà è un agente dell’FBI sulle sue tracce, un bel trappolone pelato e palestrato.”

“Potresti farmi un autografo tarocco? Se mi concedi anche un selfie poi fotomonto le due cose e posso farmi fortunato con gli amici.”

Mi ha concesso l’autografo, il selfie e in più il numero di telefono, al quale ha risposto un certo Luigi, di Cantù.

giovedì 7 giugno 2018

Tentata Vendita




Parcheggio l’auto in pieno sole di fronte al bar. Sono giorni che lo tengo d’occhio. Hanno cambiato gestione, stanno ristrutturando e non c’è niente di più facile che vendere pubblicità ad una nuova attività. Non mando mail, non telefono, non prendo appuntamenti, salto dentro all’arrembaggio quando meno se lo aspettano. Prima che aprano bocca ho già in mano penna e contratto e inizio a scrivere. Sono un tipo insicuro, ultimamente anche eclettico dicono, per questo esagero. Non è una buona idea parcheggiare l’auto di fronte al bar, potrebbero vederla.

Ha vent’anni, la carrozzeria è ammaccata, graffiata, gratuggiata, abrasa, scolorita, attaccata da uno stormo di picchi rossi. Non la lavo da quattro anni per paura che si sciolga. Verifico che radio, ventola e luci siano spente per permettere alla batteria di fornire tutta la potenza disponibile esclusivamente al motorino d’avviamento. Giro la chiave dell’accensione. Il suono di un gatto in fuga con una lattina legata alla coda, di un bambino che con un cucchiaio di legno pesta forte su di una latta e di un barbiere che affila il rasoio sulla cinghia di cuoio, mi confermano che il motore si è acceso. All'incedere di una stonata manfrina a manovella danzata da bielle e pistoni, riparcheggio in una via laterale dietro ad un cespuglio ricoprendo il tetto e il cofano con arbusti secchi. Avvio la preparazione psico-fisica per l’appuntamento a sorpresa. Con sette respiri violenti per l’ossigenazione del cervello, mi accorgo di esagerare quando a pugni chiusi, tossisco e sputo una foglia aspirata da terra che mi si era incollata in gola. Sostituisco gli occhiali da sole con quelli da vista e mi avvio a piedi alla meta controllando che la patta dei pantaloni sia chiusa. E’ il mio giorno fortunato, la porta del bar è semiaperta. Allungo il collo nel pertugio ed entro con la stessa discrezione di Diabolik nel furto di diamanti al museo. Li vedo, sono in tre a ridosso di un tavolino appoggiato a gambe all'aria su di un altro tavolino. Stanno cercando di infilare l'ultima vite che assicurerà la gambe al piano del tavolo. Mi avvicino e li osservo. La mia vista li spaventa in un muto urlo di terrore fotografandoli in posizioni innaturali. Il basettone biondo rockabilly molla la mascella fino ad appoggiare il mento al tavolino, il paccioccotto in tuta blu aggrappato al tavolino viene sopraffatto da un attacco di tosse asinina e il terzo nella stessa posizione di chi seduto sul water si accorge dello stronzo che gli è rimasto attaccato al culo solo quando alzandosi, si stacca e centra in pieno le mutande calate.

Saluto e senza presentarmi, chiedo del titolare.

Nessuno parla, nessuno si muove, nessuno respira. Non riescono ad inquadrarmi, non capiscono chi io sia, le mie narici si dilatano aspirando a pieni polmoni l’odore della loro paura. Non vesto consueto, vesto elegante ma scombinato. Scelgo i miei capi con l’attenzione di un uomo nudo inseguito da un killer che correndo attraverso le bancarelle del mercato, arraffa capi d’abbigliamento a vanvera tanto per coprirsi e far cessare le urla stridule delle vecchiette appena uscite dalla messa.

Necessitando di una borsa che raccolga listini e contratti, mi è parsa una buona idea avvalermi di una di quelle borse da bici che si attaccano al manubrio della bicicletta.

Guardano me e la borsa, la borsa e me e percepisco il loro disorientamento per la borsetta da ciclista che porto a tracolla che non riescono a decifrare. Chi sarò? Le traiettorie degli sguardi corrono veloci come su un circuito Polistil, la palpebra di un occhio sbarrato vibra, una goccia della fronte esplodendo fa, plic. Mi godo il quadretto in silenzio, l’attimo di celebrità, dell’abuso di potere, immaginandomi ufficiale della finanza, dell'inps, dell'inail, dell'asl del ciuli fruli o giuli.

Quando mi presento come il più grande venditore terracqueo mondiale di pubblicità, la tensione evapora e tutti insieme tiriamo un bel respiro di sollievo, Mai ricevuta tanta accoglienza nel vendere pubblicità. Feci un bel contratto quel giorno, firmarono tutto.

Il giorno dopo, sul giornale lessi del loro arresto.

Nascondevano il vecchio titolare del bar nel congelatore.